Su Versodove 19 le eccezionali Canzoni di Naum Kaplan.
“Negli anni che vanno dai Settanta agli Ottanta del Novecento, in Moldavia, a Kišinëv, si formò una generazione di poeti che si sarebbero “dissipati”, come avrebbe potuto dire Jakobson. A questa generazione apparteneva Naum Kaplan. Un poeta, riconosciuto dagli altri poeti, dall’intelligencija. Ma che non pubblicò neanche un verso” (dalla presentazione di Francesca Tuscano).
In esclusiva sul nostro sito altri inediti del poeta di Kišinëv-Chișinău, sempre tradotti da Francesca Tuscano!
Inverno. La tua orma
Ho i pattini e il pellicciotto
di Vanja,
vado e vengo in vista della mia abitazione,
in modo maldestro,
cado,
mi rialzo
e cado di nuovo,
mastico neve secca,
e penso di essere stato ferito in duello;
l’inverno è la tua orma nella mia terra,
e credo di essere stato ferito,
mi alzo,
barcollo, penso e sgualcisco
il berretto contro lo stomaco,
lì dove il pellicciotto di Vanja è bucato,
e poi cado,
e dico:
“Mettetemi dell’acqua sul petto!
Brucio!”
E mi brucio per la vergogna,
perché io lo so
che gioco;
l’inverno è la tua orma nella mia terra,
e mi alzo ancora una volta, con pesantezza,
e cado, e sento:
“Resta sdraiato in silenzio,
canterò per mezzo della neve” –
questa volta sussurro,
senza aprire gli occhi : “Fate in fretta, brucio!” –
tutto il pellicciotto di Vanja è pieno di sangue,
lo stomaco è bucato,
e il proiettile è conficcato nel fegato,
e la voce: “George, sei solo ferito” –
“Ma come George?! Io sono Puškin!” –
“Lui l’hanno ammazzato”.
***
Sono uno studente pigro, e un buffone,
ma un giorno qualcuno mi sposerà;
e ogni notte, nel silenzio e nella tempesta,
io me ne starò a letto con la mia amata.
Sarò accudito, felice e soddisfatto;
mi consentirò tutto ciò che Dio vuole …
Ma, per ora, me ne sto su un’altra riva,
e la moglie di un altro riposa su un mucchio di covoni.
***
Mi si svelano i tuoi tratti,
come fossero quelli di una Venere classica;
una piccola colomba con un bambino in una semisfera;
siamo vicini, dunque, alla linea del mistero.
Il tuo volto splende come un enigma,
e la mia passione non ti possiede;
d’improvviso, inconsapevolmente, mi spaventa
il profilo sgraziato del tuo corpo.
Com’è strano, e significativo, il risultato
del mio amore, dello sfiorarsi cieco;
quale genio semplice, e banale,
cammina verso di noi oggi, sulla soglia.
È possibile che egli riunisca con ispirazione
i nostri slanci in una piccola opera;
e questo non ci sta dentro una coscienza,
e il procedimento del dramma sarà segreto per sempre.
La recitazione è approssimativa, una nebbiosa recitazione,
ma, mia cara, noi siamo felici, non è vero?
Noi partecipiamo comunque allo spettacolo,
dalla parte del dolore, e del bene.
Dal Ciclo di Puškin
I
Maledetta città di Kišinëv,
la lingua si stanca nel rimproverarti…1
Maledetta città di Kišinëv,
la lingua si stanca nel rimproverarti.
Ma mi attrae a sé questa città,
sotto un tetto indifferente.
Sono stato mandato qui in esilio
quando ero nel ventre di mia madre.
Qui ho bevuto la prima bottiglia,
qui ha cantato per me il primo usignolo.
Petropol’, Mosca vivace
e Odessa (dolore lungo il mare),
tutto ciò è pieno di interesse,
ma, nel cuore, Kišinëv è prima.
A nessuna città
sono obbligato
in modo così spiacevole,
né a quelle che mi hanno legato o fatto vergognare,
né a quelle che mi hanno reso esizialmente sano.
Qui la buona stupidità
ha accarezzato
i princìpi timidi,
il mio primo slancio presuntuoso;
e il risultato è stato
che non mi si è svelato
a cosa appendere il mirino,
verso dove indirizzare sguardo e udito.
Oh, questo spirito della provincia,
lo spirito dell’orto che non ci abbandona!..
Mi costringe in confini stretti,
senza limite piena di sé,
la città moldava piena di russi,
dove io non sono né l’uno né l’altro.
Ma, che Dio sia lodato,
la legge dei barbari
non è scritta per la lira russa.
A volte, essa lancia il diapason
contro la finestra dell’appartamento di un altro.
E qui, dove il nord è colmo di sud,
dove occidente e oriente sono vicini,
io ho preso la penna, ho incontrato l’amico,
sono stato alla mia prima lezione.
Già, a ogni fioritura
è assegnata una terra,
ed è peccato rimproverare alla pianta che fiorisce
i campi che la circondano.
II
“Arrendetevi, popoli pacifici …”2
Il popolo non esiste – esiste una massa di uomini,
separati l’un l’altro dalla coscienza.
Persino due che si amino allo stesso modo non ci sono al mondo,
non si trovano due menti che si accendano allo stesso modo.
Qui non ci sono due cantori uguali,
due bellezze fatte con la carta carbone,
tanto meno due canaglie simili
e due imbecilli identici.
E se qualcosa è male per uno,
per un altro è bene.
Il trionfo di ogni pensiero dipende
solo
dalla persona a cui daremo la parola.
L’unità delle anime non ha senso, quando
un’anima è sconosciuta all’altra,
ma, poiché noi non siamo di casa né nella nostra anima,
né in quella di un altro – chi vi penetrerà? …
Solo chi discetta del popolo per noi,
è unico, nella sua chiacchiera.
Ci dicono bugie – ma noi viviamo
in accordo con la natura a loro sconosciuta.
(1976)
Ritratto
Osservo un uomo.
La mattina presto, dopo aver disposto
le mani sul grembiule indurito, insanguinato,
osserva bilioso
i giovani che gli portano
pesanti pezzi di animali.
Come batte con la mannaia,
sul tagliere,
lo zietto flemmatico,
dopo averci fatto cadere
dello sporco sale grosso!
Con abilità scaglia
brandelli rossi sul metallo sottile.
Eruslan maniche arrotolate,
prode beccaccino,
lontano collega del pastore,
è così zelante, ama così tanto il lavoro:
perle di grasso amaro
brillano tra i capelli grigi, sporchi,
e le scarpe sono slacciate.
Raccogliete le amarene
“Ragazzo, guarda quest’amarena.
Essa non fiorisce per l’uomo:
l’amarena fa nascere i fiori nelle sofferenze –
non è questo l’eroismo, ragazzo?”
(Jun Takami)
Oggi è pieno di amarene:
non bastano gli occhi per contare
quanti ne siano nati di rossi frutti rotondi.
Non parlo di giardini e orti
in ogni cortile, sulla strada;
ovunque si possa immaginare
ne potete prendere a mani piene, senza badarci.
Amarene gratis!
Raccoglietele!
Ficcatevele in bocca a manciate!
Sputatele,
spalmatevele sulla faccia
/così sarete simili
ad un uomo ferito a sangue/,
lanciatevele l’uno contro l’altro,
divertitevi –
amarene a bizzeffe.
Ce n’è per tutti.
Possono abbuffarsene persino coloro
ai quali non è mai riuscito,
e coloro che vivono lontani dal mondo
e non sanno che queste sono amarene,
e coloro che stanno sdraiati, sporchi, nella palude delle trincee,
e coloro che stanno in prigione
per reati politici –
andate al diavolo –
oggi amarene a sbafo!
Prendetene, brava gente!
Le amarene sono roba buona:
ci si possono fare kompot3, marmellata,
sciroppi e rosolio forte,
si possono ficcare dentro i pirožki4 e i vareniki5,
congelare e conservare per lungo tempo.
Raccogliete le amarene, compagni!
Dobbiamo raccoglierle tutte, senza pausa,
non possiamo lasciarle sui rami –
sarebbe, allo stesso modo, una bassezza,
una degradazione delle norme
e una degenerazione della civiltà!
/Non ridete:
un giorno capirete
quanto ciò sia serio/.
1 Kaplan cita i primi due versi di Da una lettera a Vigel’ (Iz pis’ma k Vigelju) di Aleksandr S. Puškin.
2 Verso tratto da Il seminatore uscì a seminare (Izyde sejatel’ sejati semena svoja), poesia di Aleksandr S. Puškin.
3 Composta di frutta.
4 Piccole focacce ripiene, dolci o salate.
5 Pasta ripiena di forma triangolare.