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Dal n. 20 di Versodove – Paola Silvia Dolci, Diario del sonno

è uscito da qualche settimana, per Le Lettere – con postfazione di Marco Giovenale – Il diario del sonno, di Paola Silvia Dolci, di cui anticipammo una parte nel numero 20 del 2018, all’interno di un’apertura dedicata a letteratura e psicanalisi.

Riportiamo qui i testi pubblicati sulla rivista e uno stralcio della postfazione.

«Il flusso verbale, segmentato e teso, giustamente incurante dei soprassalti del lettore, abbandona o allenta ogni idea di coerenza temporale. Lascia affiorare e disegnarsi – soprattutto nelle prime parti del libro – i ricordi come sogni, i sogni come ricordi, nei loro legami latenti o palesi con la sessualità e l’aggressività, senza – spesso – definire cosa è sogno e cosa memoria. Il promemoria all’analista diventa in questo modo un resto di buio, rispettato come tale: quel trapestio confuso e non regolabile che si produce sull’orlo dell’inconscio. (E che non è immediatamente possibile verbalizzare, mettere in [viva] voce, pena la sua scomparsa sotto la cortina dei sintomi).

Ogni volta la scena raccontata, l’episodio, il sogno, si propone come chiave o comunque esposizione significativa di un evento circoscritto, senza che la porta che dovrebbe spalancare si apra veramente. Un intelletto ostinatamente revisionista direbbe che questo è dovuto precisamente allo spazio che all’inconscio (al soggetto dell’inconscio) è concesso nella narrazione: …cosa ti aspetti? il soggetto sta mescolando tutte le carte, mentre solo l’ordine (cronologico! narrativo, connettivo=correttivo) porterebbe all’ordine (mentale, legale, sociale).

Secondo un ben noto meccanismo analizzato da Lacan già nei Nomi del padre, l’interrogato (revisionista, ripeto) tenderebbe così a sostituirsi all’interrogante, all’analista, preinterpretando.

Invece il soggetto (che, come ricordava Bene, è subjectum) sta giustamente impressionando lastre fotografiche, fibre di carta. Che lo impressionano, retroagendo, pure anticipandolo.

Di una fotografia si domanda “Qual è il soggetto?”. Qui allora è tutto spiegato, e chiuso nella noce del doppio se non triplo significato: soggetto come oggetto (pietra, rem) della (non)narrazione; soggetto come colei che senza voce ricapitola salta ricostruisce slega e annoda (in prosa tracciata, tracce impresse, non oralmente); e soggetto come energia che si libera. E che “impressiona” quella ennesima figura del gioco che è il lettore, infine».

Da Diario del sonno

Ho 7 anni.

Siamo nello studio. Luci puntate e buio.

Con forza e fermezza il dottore mi strappa entrambi i lobi nei quali ho due grandi orecchini a cerchio. Mi scuoto, me ne andrei. Il dottore mi afferra gli avambracci e me li blocca sulla scrivania. Non posso muovermi. Senza fiato, ho paura.

Ho 21 anni.

Mi commuovo quando hanno un orgasmo dentro di me. (Rapporti nel periodo mestruale).

Ho 15 anni.

Io non sto bene e mi devo proteggere.

Ieri volevano trattenermi ancora in psichiatria.

T’informo non per spaventarti ma per farti capire che la situazione per me è grave.

Le frasi che ripeti con maggior frequenza sono “Esisto anch’io”, “Anch’io ho i miei limiti”, così se commetti errori tu sono giustificati e se sbagliano gli altri, noi siamo malvagi.

Ti aspettavi sorrisi e abbracci al tuo ritorno, sbagliavi. Non condivido quello che è stato il tuo comportamento.

Sono due anni che tra alti e bassi cerco di farmi perdonare, cosa poi? Scegliere di avere una vita mia?

Ho 28 anni.

Dottore,

Lei mi ha detto che le emozioni sarebbero affiorate nella misura in cui io fossi stata di grado di tollerarle, di guardare ai fatti e di ascoltarmi. Ho eseguito.

Mi ha chiesto con quali sentimenti ho accolto certe informazioni. Io mi sono chiesta come ne fossi giunta in possesso.

Dov’è il limite? Sono cattiva perché sento male? Sto sbagliando? Perché anche se è malata mi odia? E se la preghiamo in ginocchio di starmi lontana non si ferma davanti a niente come quando cercavo di scappare e chiudermi in una stanza e pur di raggiungermi si spaccava le mani?

I maltrattamenti sono sempre stati quotidiani. O forse io sono sempre stata troppo debole.

Perché vorrei comunque proteggerla se la voglio uccidere?

In quale modo tutto questo è legato al mio suicidio?

Per quanto riguarda i farmaci, per ora ho bisogno di restare lucida.

Ho 27 anni.

“Io ho visto in te la disperazione e la stupidità in tua madre. Su quel balcone tua madre era sorpresa e idiota, credo che si sia costruita un castello per non darsi colpe e quando ti ha vista le è venuto il dubbio che tu non fingessi.

Non mi spiego perché sia rimasta sul balcone e non sia scesa, il mio istinto di scendere e abbracciarti sarebbe stato più forte di qualsiasi cosa. Quando siamo tornati e mi sono presentato al portone di casa nostra per parlarle mi ha detto che tu avevi bisogno di lei e che quindi sarebbe salita. Sono una madre. È il dolore di una madre. Le ho detto di aspettare alla porta per venire a parlarti. Le ho riportato che tu non eri in grado di comunicare e lei ha ribadito che non importava se tu non ne eri in grado ma bisognava si facesse comunque. Le ho detto che forse più tardi o il giorno successivo ma questo non era il momento e ha ribadito che non importava e che andava fatto adesso, subito.

Quando ti ho afferrata mentre ti stavi buttando nella tromba delle scale le ho detto di andarsene e non l’ha fatto. Le ho detto che se restava avresti tentato di suicidarti e lei ha risposto che se fosse andata via avresti continuato comunque. Non vuole capire. Il fatto che la sua presenza ti portasse al suicidio non la frenava, anzi, voleva venirti ancora più vicino a strillarti le sue verità. Era più importante il suo parlarti che il fatto che tu vivessi. Significativo che dica uccidi me e invece non voglia leggere, ascoltare, capire e sentire dolore. Sa che non la ucciderai e vuole solo il martirio nelle idee ma non nei fatti. È convinta di sapere quello che è giusto per te e di importelo fino alla tua morte.

Posso dire con certezza che è pericolosissima e non è in grado di capire la gravità della situazione nemmeno vedendola con i propri occhi.

Continuano ad attribuire la responsabilità della situazione a entrambi noi, quando io riferisco loro solo quello che mi dici tu. Non è giusto.

Sono io che ti trattengo quando ti butti giù dalle scale, non tua madre, lei ti istiga.”

Ho 27 anni.

All’ingresso di via Ala Ponzone mi prende la paura, battito accelerato, bocca secca, mani e gambe che tremano. Se non mi accompagnasse qualcuno non entrerei.

Suono. Apre. Entro. Tolgo il cappotto, i guanti, gli occhiali da sole, mi siedo. Guardo Charcot e gli istogrammi degli internati nel manicomio di Cremona, humour noir, il dottore ce l’ha coi pazienti. Non posso fumare, i libri sono ordinati e non li sfoglio più. Ascolto, non si decifrano le parole ma i toni si distinguono bene. C’è questo ragazzo biondo e triste, ha un tono sommesso e un aspetto infelice, sembra rassegnato, mi fa tenerezza. La signora che l’ha preceduto un paio di volte nelle mie attese, lei rideva sonoramente, sembrava simpatica. La ragazza anoressica mi metteva tristezza, pareva arrabbiata.

Io sono astratta e non può vedermi nessuno.

Moltiplica per? venti? Sì, moltiplica pao per venti. Fanno quaranta telefonate in due mesi di confessioni di tentato suicidio, centosessanta ore di sedute, studio distrutto, silenzi dolorosi, risate isteriche, bugie, domande, resistenze, scenate, ricatti, recriminazioni.

Il dottore sposta la sedia alzandosi. Aprirà la prima porta, la seconda porta, mostrerà che non ha armi nella mano destra. Autodafé. L’Inquisizione è il mago di Oz con una faccia di pietra. La voce gli esce dalle spalle. Una specie di megafono metallico. L’ho capito che non vuole gli porti la mia analisi scritta ma io non riesco a parlare.

Quando porto i quadri invece è contento, porto i volti.

Mi piace questa atmosfera. Non mi era mai capitato di dialogare in questa dimensione.

Mi riprendo dopo un’ora o due.

Ho 28 anni.

Insisto nel non voler prendere i farmaci.

Ho 16 anni, e nascondo quello che scrivo perché anche quelle sono tutte bugie. Non posso sostenere che le mie poesie vengano lette in pubblico.

Ho 12 anni.

Le pareti e i pavimenti intonacati sono tinteggiati di bianco polveroso e sulle superfici i dislivelli sono eccessivi. La casa è del Settecento e non ha mai subito ristrutturazioni, il pavimento scricchiola a ogni passo ed è necessario muoversi con molta cautela, ho il terrore che crolli tutto. Lo schema delle stanze si ripete su almeno tre piani, l’ambiente è luminoso; è come se avessi visto quella casa molte altre volte ma in effetti non ne ho ricordo.

Una di quelle stanze è lo studio del dottore, lo incontriamo, si accorge della nostra presenza ma se ne va. Indossa un completo blu, giacca, camicia bianca senza cravatta; forse è di fretta, sembra indaffarato, forse ci evita, io credo che ci eviti, capisco che mi evita. Lo seguiamo. L’ambiente si oscura, il dottore si ferma di fronte a un acquario senza pesci colmo di acqua limpida ma non pulita ed è presente un’assistente. Non so se il dottore mi dica di mettere la testa nell’acqua, mi pare che mi consigli di guardare l’acqua trattenendo il respiro. Io obbedisco ma è violento e umiliante. Il dottore se ne va ed io trattengo il respiro finché ho fiato, sta ricreando la mia vita di frustrazione, mi fa altro male e non ho bisogno di questo, vorrei mi aiutasse senza causarmi ulteriore dolore.

Riavvolgiamo, torno indietro, mi sto recando nello studio del dottore per parlargli e dirgli quello che penso. In sala d’attesa l’arredamento è caldo e classico, ridondante. C’è una scala di legno, imponente, due rampe. Sto per percorrere l’ultima quando mi accorgo che ho la sigaretta in mano, non posso tornare indietro e gettarla in strada, sono in ritardo, senza pensare la butto nella tromba delle scale. Ho paura e scappo; torno ed è pieno di gente che spegne e guarda l’incendio, l’ho causato io e me ne vergogno e non lo posso dire. Il dottore è arrabbiato e spaventato, comunque distaccato, è seduto su uno scalino. Gli devo dire che sono stata io ma non posso farlo subito. Gli getto le braccia al collo, lo cerco davvero e mi metto a piangere disperata e angosciata.

Ho 16 anni.

Questa bestia che ho dentro in qualche modo deve uscire.

Ho 0 anni.

Perdo i denti. A volte anche i capelli. Mi smarrisco nei labirinti. Sono su una macchina che non so guidare e mi vado a schiantare. La folla. Cado col lettino dal ballatoio della nonna. Non sono in picchiata ma il letto si disfa progressivamente fino a quando l’unica protezione contro lo schianto è la mia impronta sul materasso. Polvere e cenere in turbini. Mi va malissimo il compito in classe di matematica che devo svolgere.

Ho 26 anni.

Ho molta paura. Giorni senza soluzione, senza fine. Come se il mondo fosse finito.

Ho 27 anni.

Mi sono buttata dalla finestra: tre mesi di carrozzella con le ossa fracassate, prova solo a immaginarti la rabbia di una che si vuole ammazzare e resta imprigionata su una carrozzella.

Ho 21 anni.

Un suono diverso da quello della pioggia sul lucernario, mi sono svegliata verso le tre e nevicava; la solita stanzetta buia, sgradevole, scarna. Due lettini. In uno dorme la ragazza bassa con i capelli neri, bruttina. Ce l’ho portata io e forse avrei dovuto fare sesso con lei. Lei se lo aspettava. Forse l’avevo convinta io. Ma non mi sento obbligata e non mi va, preferisco stare in piedi con l’uomo.

Ho 20 anni.

Consegno i regali di Natale a mia sorella: tre serpenti, non sono velenosi, diventeranno molto grossi, sono del tipo che per nutrirsi strangola la preda. Mia sorella scende le scale per andarsene e le cade il sacco con i serpenti. Io e lui osserviamo dal nostro pianerottolo quello sottostante. Mi spavento perché oltre ai tre serpenti si avvicina una grossa iguana. Ero certa che non fosse nel sacco, mi sarò sbagliata, distratta, non me ne sarò accorta.

Ho 13 anni.

La gente di cui mi fidavo mi ha tradita solo per idiozia.

Ho 26 anni.

Lui ha lavorato tutti questi mesi da casa e non mi ha mai persa d’occhio, forse l’amore è questo? Mi ascolta se gli parlo ma non chiede mai nulla, non mi chiede mai come sto, cosa penso.

Ho 18 anni.

“se questo è ancora il tuo indirizzo, so che almeno la curiosità ti sta facendo leggere. Ti capita mai di domandarti che fine ho fatto? ti ricordi di me? Ti scrivo solo due righe perché mi è capitata una cosa tra capo e collo e mi ha fatto capire che la lunga digestione del male che mi hai lasciato in ricordo dentro è finita.

C’è ancora qualcosa di nostro nella mia vita ma non è più doloroso; sta lì e tanto basta. E mentre scrivo mi sforzo ma non riesco proprio a immaginare come tu sia adesso. 

Mi sento me stesso quanto non l’ho mai sentito, e se non ti trovo nelle persone che ho incontrato, è perché non ho più il bisogno di cercarti.

Davvero non c’è dolore che non abbia fine, almeno questo di buono mi hai lasciato da imparare.

Paola, ti auguro tutta la felicità di cui sei capace…”

Ho 6 anni.

Seduta settima: lei non affronta la realtà per timore del fallimento.

Se pubblicano me, devono valere poco. Non ho una preparazione, sono ignorante, mi sento inferiore rispetto agli altri.

Non è che scappo dalla realtà per non subire fallimenti: scappo dalla realtà per non dover rinunciare ai miei desideri.

Seduta ottava: lei non sente sue le opere che scrive.


Versodove compie vent’anni

Pordenone Five

Il primo numero della rivista esce nel settembre del 1994. Ma il progetto era già nato da quasi un anno all interno della associazione Versodove.

L’associazione si occupa dal 1989 di organizzare, a Bologna, letture, incontri sulla scrittura, seminari nelle scuole, ed ha realizzato un’antologia di poesia e narrativa uscita per Transeuropa, con il contributo della Comunità Europea.

Gestisce inoltre – dall’89 – all’interno di una sede ARCI, “CAMPIMAGNETICI”, un centro di documentazione delle pubblicazioni letterarie italiane: riviste e libri, ma anche dattiloscritti, ciclostilati in proprio, bollettini.

La rivista nasce dopo un lungo dibattito con l’idea di puntare l’attenzione sulla realtà della città, ma anche indagare la scrittura nei suoi aspetti più vari, preferendo al taglio accademico, la scelta di portare l’Autore a prendere la parola in prima persona, attraverso interviste o interventi sulla propria poetica. Sul proprio lavoro di scrittura.

Il progetto era essenzialmente basato sulla curiosità, sulla voglia di fare, sul desiderio di mettere a disposizione uno spazio in cui poter vedere pubblicati autori “giovani” che ritenevamo di qualità.

Anche se erano ben presenti per noi le esperienze di alcune riviste storiche della nostra città, da Officina a Rendiconti – ed infatti il confronto e l’aiuto di Roberto Roversi prima di iniziare è stato fondamentale – volevamo però evitare di farci chiudere in schemi e scuole. Quello che a noi risultava chiaro era l’esigenza di confrontarci trasversalmente, con tutti, sul terreno della scrittura, in un momento storico come questo, in cui il paesaggio testuale da indagare si estende ormai dall’accademia all’avanguardia senza troppe discontinuità.  L’unico atteggiamento possibile quindi ci è parso quello dare spazio ai diversi punti di vista, di fare insomma da cassa di risonanza alla plurivocità di voci, perché queste non si perdano nel rumore di fondo di polemiche ormai obsolete. A sorreggere tutto questo c’era, e c’è tuttora, l’idea che la letteratura debba confrontarsi anche con tutte le sue possibili contaminazioni, con tutti quei luoghi in cui la parola vive non solo come parola scritta, ma anche detta, recitata, cantata, tradotta.

Su queste basi la rivista si è strutturata e a preso una forma precisa che, a parte i cambiamenti grafici e l’aggiunta di alcune rubriche, resiste ancora oggi.

Ogni numero si apre con un approfondimento “L’Apertura” appunto:

  1. n° 1 TRA RAP, POESIA, E NARRATIVA. NUOVE FORME DELLA COMUNICAZIONE.
  2. n° 2 CONVERSAZIONE CON BALLESTRA, BRIZZI, FOIS, GIORGI, CULICCHIA, SULLA GIOVANE NARRATIVA ITALIANA.
  3. n° 3 GULP FICTION: IL FUMETTO COME NUOVA LETTERATURA POPOLARE?
  4. n° 4/5 APERTURA DI SIPARIO: SCRITTURA TRA TEATRO E POESIA. INTERVISTE A DE BERARDINIS, RONCONI, MELDOLESI, SANGUINETI, CASI.
  5. n° 6/7 SULLA TRADUZIONE: INTERVISTE AD AMITRANO, PERSICO, SCATASTA, BUFFONI.
  6. n° 8  SULLA NARRATIVA: INTERVENTI DI DE MARCHI, SEVERINI, FOIS.
  7. n° 9/10 INCHIESTA SULLA POESIA: Interventi di BERTONI, BONITO, BUFFONI, DEIDIER, D’ELIA, FIORI, GARDINI, MAGRELLI, MESA, PUSTERLA, VILLALTA, VOCE. ED UNA NOTA DI NIVA LORENZINI.
  8. N°11 Prosegue l’inchiesta sulla poesia, che con questo numero conclude la sua indagine all’interno delle questioni più  importanti  ed urgenti del presente letterario, sia dal punto del lettore di poesia ma soprattutto da quello di chi la poesia la produce. – interventi di CIOFI, FERRI, FEBBRARO, FRASCA, HELD, JEMMA, MANSUETO, NADIANI, RUFFATO, RUFFILLI, SANT’ELIA.
  9. n°12 VOCI FUORI CAMPO: CINEMLA E LETTERATURA. Interviste a Peter Greenaway, Suso Cecchi D’amico, Roberto Faenza, Silvano Agosti, Alberto Farassino, Enzo Monteleone, Carlo Mazzacurati. Poesie di Bernardo Bertolucci e Jean Luc Godard.
  10. n° 13 LETTERATURA E ARCHITETTURA. Interviste a Vittorio Gregotti, Zygmut Bauman, Valerio Magrelli, Roberto Collovà. Interventi di Umberto Fiori, Giovanni Nadiani, Rosario Pavia, Vincenzo Bagnoli, Giorgio Vasta, Antonio Clemente.

Prosegue con due sezioni chiamate: In pratica POESIA, e In pratica NARRATIVA. e TRADURRE.

Abbiamo ospitato, per la poesia, testi di:

  1. Dora Lapolla, Paola Goretti, Lello Voce, Umberto Fiori, Marco Barbieri, Fabrizio Lombardo, Manuela Pasquini, Giancarlo Sissa, Vitaniello Bonito, Mariangela Gualtieri, Sergio Rotino, Massimiliano Palmese, Andrea Cotti, Franco Buffoni, Fabio Pusterla, Roberto Deidier, Giovanni Nadiani, Claudio Damiani, Elisa Biagini, Riccardo Held, Giuliano Mesa, Paolo Febbraro, Enzo Mansueto, Gianni D’Elia, Roberto Roversi, Enrico D’Angelo, Vincenzo Bagnoli, Alessandro Carrera, Gianni Priano, Edoardo Zuccato, Gabriele Frasca, Ermanno Krumm, Biagio Cepollaro, Massimo Sannelli, Mario Corticelli, Stefano Dal Bianco, orenzo Buccella, Anna Maria Farabbi, Gian Mario Villalta, Rosaria Lo Russo Cosimo Ortesta, Alessandra Berardi, Guido Mazzoni, Andrea Inglese, Giovanna Tagliavini, Gian Maria Annovi, Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Valerio Magrelli.

Nella sezione Tradurre, con la collaborazione di Roberto Bertoni del Trinity College di Dublino, abbiamo proposto nel corso degli 8 numeri, anticipazioni ed inediti di alcuni dei più importanti poeti irlandesi tra cui: Ciàran Carson, Nessa O’Mahoney, Ciaran Cosgrove, Dereck Mahon, Paul Maldoon,

Nel numero 9/10 abbiamo pubblicato testi del poeta spagnolo A. Amusco. E degli inediti di W.H. Auden, tradotti da Luca Manini, che per il n° 11 ha tradotto uno dei più interessanti poeti inglesi contemporanei: Jeffrey Wainright.

Sempre nel n° 11 viene offerta una panoramica della giovane poesia francese, a cura di Fabio Pusterla.

Nel numero 12 Basil Bunting, il danese Soren Ulrik Thomsen.

Nel 13 Guillevic, Nicole Brossard, Anne Michaels, Durs Grunbein.

Per la narrativa:

Mario Giorgi, Enrico Brizzi, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Lorenzo Marzaduri, Mario Corticelli, Giulio Mozzi, Matteo B. Bianchi, Maurizio Ascari, Piersandro Pallavicini, Michele Monina , Elisabeth McCraken, Francesco Piccolo, Riccardo Angiolani, Alberto Forni, Marco Mancassola, Paolo Nori, Massimiliano Zambetta, Maurizio Marotta, Davide Ferrari, Christian Raimo,Enrico Capodaglio, Jacqueline Lucas, Rocco Fortunato, Antonio Moresco, Luigi Di Ruscio, Naja Marie Aidt.

Una parte centrale è dedicata alle interviste:

Lello Voce, Niva Lorenzini, Roberto Roversi, Lawrence Ferlinghetti, Andrea De Carlo, Franco Buffoni, Gianni D’Elia, Riccardo Held, Laura Lepri, Rosaria Lo Russo, Antonio Moresco, Marco Ribani, Vincenzo Consolo, Gene Gnocchi, Durs Grunbein.

Per approfondire i rapporti tra scrittura e musica:

Franco Battiato e Manlio Sgalabro, Andrea Liberovici ( che ha lavorato con Sanguineti) e Mirco De Stefani (che ha lavorato con Zanzotto).

Si inaugura dal n° 11 uno spazio di dibattito critico che indaga e approfondisce le tensioni della letteratura di questi anni.

Abbiamo ospitato interventi di: Andrea Inglese, Giuliano Mesa, Vitaniello Bonito, Edoardo Sant’Elia, Rocco Ronchi, Roberto Galaverni.

Ogni numero contiene inoltre alcune pagine di segnalazioni, cronache, recensioni, e informazioni di carattere letterario-editoriale.

Dal 1999 Versodove inaugura una sua collana di libri: VERSODOVETESTI, le prime uscite sono

Roberto Roversi “Gliòmmeri” (Edizione a tiratura limitata, solo per gli abbonati)

Fabrizio Lombardo “Carte del Cielo”, pag. 112, £. 12.000

Stefano Semeraro “Due inverni” pag. 64, £. 10.000